top of page

RISCOPRIRE POLLAK CON LA SUA IMPERDIBILE INDAGINE SUL PADRE



UN PICCOLO GIOIELLO (Claudio Magris)


Cosa fare, come reagire, come ricostruire la storia di un padre che scopri essere stato un criminale nazista, capo della Gestapo, sterminatore di uomini, donne e bambini ebrei, di oppositori, sacerdoti e “razze inferiori”?

Ecco, in due parole il senso di questo libro.


Di Martin Pollack ho già parlato quando ho scritto una breve nota sulla sua meravigliosa opera dal titolo “Paesaggi contaminati”(Keller Editore, 2016). E’ stata proprio la lettura di quel primo testo a spingermi verso la lettura di altri lavori di questo interessantissimo autore, considerato uno dei massimi intellettuali austriaci.


Il bambino Martin nasce nel 1944, in piena guerra, crescerà scoprendo che quello che chiama papà non è il suo vero padre perché quello biologico è un criminale di guerra austriaco, ricercato e ucciso sul Brennero nel 1947,  in uno dei suoi spostamenti in clandestinità.


Il Martin ormai adulto affronta questa indagine, decide di ricostruire la storia del padre e  della sua famiglia ma si ritrova di fatto a scrivere un manuale su come  si diventa nazista e assassino.

Appunto, come lo si diventa?


La famiglia del padre biologico è originaria di una regione del vecchio Impero Austriaco, la Bassa Stiria (oggi in Slovenia) popolata da Sloveni e da una minoranza di lingua tedesca che odiava tutto ciò che non era germanico.

Lingua, cultura e persone non di lingua tedesca erano considerati inferiori, quasi come gli intoccabili indiani, e tutti i veri Tedeschi dovevano lottare per difendere  la loro lingua,  il loro spazio e  il potere che detenevano nelle loro comunità.



E’ chiaro che quando poi arriva Hitler si trova il terreno  già fertile e ricettivo. Gli Austriaci, dopo aver perso tutto il loro Impero (e il paese natale del padre di Martin finisce parte della nuova Jugoslavia nata dopo la Prima Guerra Mondiale) sognano di tornare grandi, non in uno stato multietnico come quello dell’Impero austro-ungarico ma in un grande Reich interamente popolato da tedeschi, libero da ebrei, slavi, slovacchi e  tutti i popoli inferiori.


In sostanza la storia del padre di Pollack è la dimostrazione da laboratorio della teoria di Primo Levi:

- A molti, individui o popoli, può accadere di ritenere, più o meno consapevolmente, che “ogni straniero è nemico”.

Per lo più questa convinzione giace in fondo agli animi come una infezione latente; si manifesta solo in atti saltuari e incoordinati, e non sta all’origine di un sistema di pensiero.

Ma quando questo avviene, quando il dogma inespresso diventa premessa maggiore di un sillogismo, allora, al termine della catena, sta il Lager. -


Tutto qui, tutto chiaro, ieri come oggi, tutto semplice.


Chi non vuol vedere, oggi come ieri, non vede.

Ma c’è qualcosa di più che mi ha stregato in questo libro, un sentirmi, paradossalmente, come a casa. Molti luoghi, nei quali vivono i protagonisti di questa storia, sono da me stati visitati, più volte nel corso degli anni. Ho potuto così respirare anche l’aria di quei posti, costruire una scenografia più reale.


Ad esempio, il padre nazista diventa capo della Gestapo di Linz, città dell’Alta Austria, a una ventina di chilometri dal campo di Mauthausen.

Ottiene una residenza nell’edificio della Gestapo che si trovava in Langasse 13, nel centro di Linz, in un complesso requisito all’Associazione del lavoratori cattolici austriaci, il Palazzo della Fondazione Kolping.


Una quindicina di anni fa, una sera, durante un viaggio con un gruppo verso il campo di Mauthausen, stavamo tornando all’albergo dove alloggiavamo sempre, l’Hotel Kolping, posto all’angolo tra Langasse e Gesellenhausstrasse.

All’improvviso il mio sguardo cadde su una scritta posta sul marciapiede, di fronte ad un portone prima dell’ingresso al nostro hotel.

Si trattava di una scritta collocata dalla municipalità per indicare tutti i luoghi cittadini che avevano visto episodi significativi della Seconda Guerra Mondiale.

Diceva la scritta: “In questo edificio operava la sezione cittadina della Gestapo…arresti senza garanzie…luogo di torture e di morte …”

Fu così che scoprimmo di alloggiare in un ex ufficio della Gestapo.

Dove pranzavamo, forse un tempo si interrogavano gli arrestati prima della deportazione.

Questo non fece che preparaci a quello che avremmo visto il giorno dopo a Gusen o a Ebensee.

C’è da dire che, nell’aprile del 1945 una bomba distrusse completamente l’edificio della Gestapo, uccidendo i 50 dipendenti che lavoravano all’interno per cui, come gran parte dell’Austria e della Germania, anche la Casa Kolping, quindi il nostro hotel, sarà stata ricostruita nel dopoguerra.


Ma torniamo al libro.

Un giorno il padre e il nonno, fanatici cacciatori, partecipano ad un a battuta di caccia  nelle campagne di fronte al campo di Gusen e invitano alla scampagnata anche il comandante del campo di Mauthausen, Franz Ziereis, una nostra vecchia conoscenza.

Durante la battuta, per errore, il padre di Pollack uccide un ragazzo dodicenne, un battitore. Per questo omicidio colposo il padre verrà solo trasferito nei reparti degli Einsatzgruppen, squadre speciali di SS, Sd e Kripo (polizia) mandati ad assassinare decine e decine di migliaia di civili nei territori dell’Est “liberati” dall’esercito tedesco avanzante.


Quando potremo tornare a Gusen cercheremo nei prati di Gusen un cippo, un blocco di granito, sormontato da un crocefisso, con la scritta: In Memoria 1943”.

Il monumento è stato eretto per il ragazzino ucciso, noi guarderemo anche la pietra e ricorderemo anche chi l’ha estratta dalla vicina cava, i deportati del campo di Gusen che  lavoravano  al gelo, malvestiti, denutriti e picchiati come bestie fino alla morte per sfinimento.



Insomma, come insegna molto bene Pollack in “Paesaggi contaminati”, se aguzziamo lo sguardo comprendiamo che la nostra terra è impregnata di dolore e sangue, dobbiamo saperne individuare segni, ricordare per fare i conti col passato, come con un padre di cui ci si vergogna, per poi continuare a vivere, cercando di essere migliori di prima.

Amo davvero questo autore ed il libro, è bellissimo il suo percorso interiore, scoprire il padre ed il nonno, criminali nazisti e liberarsene con la ricerca della verità.

Un scrittura meravigliosa, pulita, non c'è una virgola di troppo. Calviniana.

Per concludere, se non leggete questo libro perdete una sorsata del nettare per la mente e per il cuore.

Gianpiero Soglio


"Il morto nel bunker. Inchiesta su mio padre", Bollati Boringhieri, 2007.

Comentários


Post: Blog2 Post

© LIbri Sotto Sopra

bottom of page